Prima o dopo ci dovevo sbattere contro il muro della realtà e del senso pratico della pagnotta.
La mobilità tra un po' finisce e con quello inizia la responsabilità di vivere facendo fotografie.
Sicuramente i prossimi mesi di coccola-da-mobilità li investirò nella costruzione di un nuovo business: devo farmi il sito, parlare con un commercialista e imparare questa lingua fiscale fatta di acronimi e sigle di cui comprendo l'importanza ma non l'impatto reale nella mia vita. Ammortamenti, previsioni di spese non fanno parte della mia forma d'anima ma sono obbligata a parlarci. Sono i miei nuovi compagni di viaggio e sebbene a pelle li senta già fastidiosamente sempre precisi, noiosi e pronti a sottolineare i miei errori.... beh fanno parte del pacchetto.
Un conto è essere un ingranaggio del processo: un conto è essere tu stesso tutto il processo.
Un conto è fare fotografie per passione: un conto è fare della fotografia la fonte dei tuoi vestiti, delle tue bollette e del tuo cibo.
Solo ora comprendo con una spiazzante lucidità il senso di queste cose che se non ci sbatti la testa dentro le intuisci ma non le comprendi mai veramente fino in fondo.
Eppure me l'avevano già detto molte volte. Eppure in realtà la fotografia non è ancora il mio lavoro ma cacchio... è tutto così tremendamente chiaro ora.
Tanto che guardo il mio book con sconsolata insoddisfazione: è pieno di sperimentazione (e in quanto tale non sempre riuscita) e poco intriso di reale praticità e utilità alle vendite. Ci dovrò dedicare del tempo a inventarmi delle fotografie più commercialmente interessanti.
Tutto questo toglie un po' di magia alla questione ma forse si tratta solo di adattare il sogno ai confini della sopravvivenza economica: a patti bisogna scendere con qualcuno o qualcosa e ora non posso rimandare più.